La gioia di gettare la semente

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APERTURA DELL’ANNO PASTORALE. L’INTERVENTO DEL VESCOVO ADRIANO

La gioia di gettare la semente

Carissimi, parlando ora a voi intendo rivolgere queste parole a tutta la Chiesa di Chioggia e, se accolte, a tutte le donne e uomini che risiedono nel territorio di questa diocesi. Alla Chiesa è affidata la missione di invitare tutti, continuamente e senza stancarsi, ad accogliere la chiamata ad ‘entrare’ (Mt 20,1-7). Ma ad entrare dove e per che cosa? Non certo in un recinto stretto, delimitato da steccati fatti di pregiudizi e discriminazioni, o pieno di ostacoli che impediscono la libertà, ostacoli costituiti da obbligazioni accumulate in tanti secoli e legate a culture del passato. È invito ad entrare in una realtà viva che ha per meta il Cielo, il Regno del Padre, per prendere parte alla sua gioia (Mt 25,21.23: “Bene, servo buono e fedele… prendi parte alla gioia del tuo padrone”), che ha come tempo la storia e come spazio la terra degli uomini dove il Figlio di Dio ha preso dimora (Gv 1,14: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”), e come legge la Legge della libertà dei figli di Dio, dono dello Spirito Santo (2Cor 3,17-18: “Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti… veniamo trasformati… secondo l’azione dello Spirito del Signore”; Rm 8,2: “Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte”).

Questa nostra relazione personale con Dio Padre, che ci ha mostrato nel Figlio suo Gesù Cristo fattosi uomo nella nostra umanità e che ha riversato su di noi lo Spirito Santo, fonte dell’amore (Rm 5,5: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”), diventa fondamento e dono perché possiamo vivere rapporti reciproci improntati a quella verità, giustizia e misericordia con cui Dio Padre ci ama tutti (Sl 103,8-10: “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe”; Lc 6,36: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”). Ecco la Chiesa, manifestazione visibile della duplice relazione, amore di Dio e amore dell’uomo, Dio/prossimo, che non può essere separata. Infatti la fede, relazione filiale con Dio, è accoglienza del dono dello Spirito di Dio che diventa la sorgente della vita di Dio in noi, di quel Dio che Gesù ci ha rivelato come Amore (1 Gv 4,7-8: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”; e 1Gv4,16: “E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”. È nella qualità delle relazioni fraterne verso il prossimo che noi mostriamo la verità della nostra relazione con Dio, la verità della nostra fede, come leggiamo in Gc 2,8-26: “Certo, se adempite quella che, secondo la Scrittura, è la legge regale: Amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene… Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta… Al contrario uno potrebbe dire: “Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede… Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta”.

Questa premessa dà senso al nostro essere Chiesa e ne giustifica la missione. Immense biblioteche, grandi discorsi sulla Verità, tanto nostro correre, tante battaglie pastorali e tutti i nostri programmi, a nulla sarebbero utili se non portassero a vivere e a testimoniare la qualità della nostra inscindibile duplice relazione: con Dio (fede) e tra gli uomini (amore/carità). Ho proposto due piccoli brani evangelici.

Mc 4,1-9: “Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: “Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno”. E diceva: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!”. Con questa parabola Gesù interpreta la sua azione di evangelizzatore come un “uscire a seminare”. Chi semina ha in cuore la gioia e la speranza di poter raccogliere anche i frutti.

– Dovremmo ricuperare la gioia e la dinamica della evangelizzazione, la gioia e la speranza di uscire a ‘gettare la semente’, come scrive papa Francesco in Ev. G. 21: “Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre. Il Signore dice: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38)”.

– L’oggetto della semina è il seme che, una volta seminato, ha in sé la forza di germogliare in forma spesso sconosciuta al seminatore stesso, come dice Gesù in Mc 4,26-27: “Diceva: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa”. Così commenta ancora papa Francesco in Ev. G. 22: “La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme. La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso alle nostre previsioni e rompere i nostri schemi”.

– Il seminatore non rinuncia a seminare in tutti i tipi di terreno, anche se sa che non tutto il seme troverà il terreno adatto per fruttificare. Egli affida il suo seme a tutto il terreno, senza esclusione e poi attende fiducioso. E l’evangelista Marco registra in crescendo il frutto della semina: “il trenta, il sessanta, il cento per uno”.

Ci siamo proposti fin dall’inizio, come frutto della Visita Pastorale, di coinvolgerci il maggior numero possibile nell’accogliere il Vangelo, anzitutto vescovo, sacerdoti e quanti hanno aderito alla Chiesa con il Battesimo e partecipano attivamente alla vita della Chiesa: Consiglio Pastorale, Evangelizzatori, Catechisti, Animatori, accompagnatori delle famiglie, ministri della comunione, operatori della carità, quanti sono impegnati nei vari servizi della Comunità, Consiglio Affari Economici. E coinvolgerci anche nell’uscire a “seminare”, ad annunciare e a invitare ad accogliere il Vangelo anche coloro cui il vangelo non è stato annunciato o, come dice la parabola, in quei terreni dove il seme non è stato seminato, o non ha fatto in tempo ad attecchire, o non ha germogliato o è stato soffocato: atei, ostili verso i credenti cristiani e cattolici in specie, sedicenti credenti ma non frequentanti o solo saltuariamente, diversamente credenti, indifferenti, anche quelli nei quali il vangelo sta portando frutto in maniera poco o per nulla da noi riconosciuta.

Mt 20,1-7: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna””.

In questa parabola Gesù interpreta se stesso nella figura del padrone di una vigna che esce a cercare operai e ad invitarli a entrare e a lavorare nelle sua vigna, a tutte le ore del giorno, indicando ai suoi discepoli di fare altrettanto. Ascoltiamo ancora papa Francesco in Ev. G. 23: “La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. La comunità evangelizzatrice… sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva… la Chiesa sa “coinvolgersi”. La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda… Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova… il suo sogno è che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice. Infine, la comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre “festeggiare”. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi”.

– Vogliamo attivarci tutti a mettere in piedi un programma pastorale parrocchiale o di unità pastorale, con obiettivi ‘missionari’ che ci spingano ad ‘uscire’ e non a lamentarci o avvilirci perché le chiese si svuotano, le comunità si impoveriscono; senza accontentarci di ‘stare bene tra noi’, nelle nostre ‘cerchie’, lasciando gli altri tranquillamente ‘fuori’, o ‘in disparte’, o offrendo loro solo le briciole che cadono dalle laute mense (della Parola e del Pane) riservate a pochi intimi.

– Il Signore ci aiuti a saper esercitare una funzione critica nei confronti dell’attuale nostra prassi pastorale che spesso ci lascia insoddisfatti o che troviamo meno faticoso ripetere senza innovare.

– Sia l’anno scorso che nelle tre domeniche scorse ho indicato, nel nostro settimanale “Nuova Scintilla”, gli ambiti del nostro impegno di lavoro e rinnovamento. C’è bisogno di discernimento e creatività da parte di ciascuna comunità, e da questo discernimento e creatività di base potrà scaturire discernimento e creatività per un progetto diocesano.

Concludo con il riferimento all’icona scelta per la nostra Visita Pastorale presa dalla conclusione del discorso sull’annuncio del mistero del Regno di Dio (Mt 13,52): “Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche»”.

Chi è lo scriba divenuto discepolo del Regno? Di che tesoro parla Gesù? E cosa intende Gesù per “cose nuove e cose antiche”?

– “Scriba” era uno che sapeva leggere e scrivere, specialmente uno che conosceva bene le Scritture, le spiegava e indicava come bisogna comportarsi nelle diverse situazioni. Gesù definisce “scribi” anche i propri discepoli, come dice anche in Mt 23,34: “Perciò ecco, io mando a voi profeti, sapienti e scribi…”. Gesù parla di uno scriba ‘divenuto discepolo del regno dei cieli’, quindi non solo di uno scriba della tradizione ebraica, ma scriba nella nuova realtà da Lui inaugurata, il Regno dei cieli e la comunità dei suoi discepoli. Dunque, possiamo dire, ci sono scribi di Gesù, una funzione che si deve esercitare nel regno di Dio e nella Chiesa. Tale scriba è paragonato a un padrone di casa, come quello che va al mattino a cercare operai per la sua vigna (Mt 20, 1 ss.) o come il padrone di casa che dopo aver piantato una vigna manda i servi, al tempo del raccolto, per ritirare i frutti (Mt 20, 32 ss). Sono tutti coloro che hanno responsabilità nella Chiesa, sacerdoti, vescovi, papi e tutti i laici impegnati nella vita ecclesiale e nella vita sociale, ‘divenuti discepoli del regno dei cieli’: come il padrone di casa devono amministrare rettamente, formulare giudizi giusti, esprimere valutazioni corrette, concordare modi di agire onesti ed efficaci. Questa icona, quasi una ulteriore parabola, ci tocca da vicino, perché noi tutti, ‘divenuti discepoli del regno dei cieli’, in maniera diversa partecipiamo della missione della Chiesa.

– Ma qual è il tesoro da cui il padrone di casa, lo scriba divenuto discepolo del Regno, estrae cose nuove e antiche? Gesù parla del cuore dell’uomo come di un tesoro che può essere buono o cattivo: “L’uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive”. Ma qui Gesù parla di uno scriba che, divenuto discepolo del regno dei cieli, “estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”. È lo scriba che si è aperto alla novità del Regno predicato da Gesù e che sa leggere la novità di Gesù nella fedeltà alla Parola antica. Il Tesoro è dato dalle antiche Scritture ma alla luce della novità evangelica: non dunque un puro ripetitore del passato, ma rimanendovi fedele tira fuori novità coraggiose.

– Ci auguriamo anche noi, da buoni discepoli del Regno, di saper aprire vie nuove di evangelizzazione attingendole dal tesoro che Dio ha rivelato pienamente nel suo Figlio Gesù e continuamente vivifica nella Chiesa per mezzo dello Spirito Santo.

La beata Maria Vergine e Madre, che in questo mese preghiamo particolarmente nel santo Rosario, accompagni il cammino della nostra Chiesa, rendendola attenta e obbediente alla luce e all’azione dello Spirito, come fu lei, così che Cristo continui a essere generato e donato al mondo.

+ Adriano Tessarollo

 

Da Nuova Scintilla n.38 – 8 ottobre 2017