COMMENTANDO…
Festa dei Santi e commemorazione dei fedeli defunti
Scrivo queste poche righe pensando alla risonanza che possono avere nel cuore e nei pensieri di molti queste ricorrenze della liturgia cattolica, specie in chi ha vissuto un lutto di recente e fatica, come si dice oggi, a ‘elaborarlo’. La festa dei Santi (1/11) invita il credente a un grande atto di fede che riassumo così: ‘Chi ha praticato l’amore ai fratelli in coerenza con l’amore al Signore, ha camminato nelle sue vie e ora abita nella sua Casa. Ecco il Santo. Ma proprio per l’amore che ha vissuto in terra ora dal Cielo, come Maria, continua a rivolgere a noi il suo sguardo di amore e di misericordia. Per questo celebriamo e preghiamo i Santi’. La commemorazione dei fedeli defunti (2/11) ci spinge a ‘rinfrescare’ la memoria dei nostri cari con i quali abbiamo condiviso un tratto di vita, abbiamo condiviso amore e gioie, ma anche fatiche, tribolazioni e talvolta incomprensioni. In questo giorno talvolta può prevalere il dolore e la tristezza per chi abbiamo perduto, per chi avremmo potuto amare di più, per chi magari ci ha anche fatto soffrire o abbiamo fatto soffrire noi, per chi avremmo voluto avere ancora lungamente fra noi, per chi non abbiamo ringraziato abbastanza.
Ma il senso di questa ‘festa cristiana’ vuole aprire i nostri cuori alla serena certezza che essi sono affidati alla ‘misericordia del Signore’ che noi ancora vogliamo invocare per loro oltre che per noi. A Lui spetta il giudizio, a noi la preghiera e l’invocazione fiduciosa. Il ripensare al tempo e al modo in cui sono stati tra noi può essere una buona lezione anche per noi per imitare i buoni esempi e compatire e evitare i loro possibili errori. Spesso questi nostri cari hanno vissuto una vita santa, anche se ora non fanno parte della schiera di quelli che la Chiesa addita come modelli di vita cristiana, modelli di santità. A consolazione di chi vive ancora drammaticamente il peso della perdita di una persona cara, riporto alcune righe tratte dal libro “Elaborazione del lutto” di Ursula Markham, Mondadori, 1997, nelle quali l’autrice immagina di sentirsi dire questo dalla persona che ha perduto: “La morte non è nulla. Sono solo scivolato nella stanza accanto. Io sono io e tu sei tu. Quello che eravamo l’uno per l’altro, lo siamo ancora. Chiamami col mio solito nome. Parlami nel modo in cui eri solita parlarmi. Non cambiare il tono della tua voce. Non assumere posizioni forzate di solennità o dispiacere. Ridi come eravamo soliti ridere dei piccoli scherzi che ci divertivano. Gioca… sorridi… pensami… prega per me. Lascia che il mio nome sia la parola familiare che è sempre stata. Lascia che venga pronunciato con naturalezza, senza che in esso vi sia lo spettro di un’ombra. La vita ha il significato che ha sempre avuto. È la stessa di prima. Esiste una continuità mai spezzata. Che cos’è la morte se non un incidente insignificante? Dovrei essere dimenticato solo perché non mi si vede? Sto solo aspettandoti, è un intervallo. Da qualche parte, molto vicino, proprio girato l’angolo. Va tutto bene”.
+ Adriano Tessarollo
Da Nuova Scintilla n.40 – 30 ottobre 2016