Commentando… (del vescovo Adriano)
Fede e servizio alla Chiesa e al mondo
L’insegnamento del nostro “Maestro”
Siamo ancora una volta di fronte a tornate elettorali: europee o comunali e in qualche caso regionali. Ma stiamo anche vivendo un momento di ‘trasformazioni’ sociali, politiche ed economiche, che richiedono atteggiamenti nuovi e vie nuove. È perfettamente da illusi pensare di uscire dalla presente situazione globale continuando a proporre sempre gli stessi schemi o modelli passati, in ogni ambito della vita, sia ecclesiale che politica, economica e sociale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, anche se ci si ostina a non vedere. Il tempo pasquale, incentrato attorno al binomio morte/vita può essere per tutti occasione di una presa di coscienza della necessità di questa
logica di vita per non rimanere schiavi dell’altra logica, quella di vita/morte. Morire a che cosa e per far vivere o rinascere cosa? Per noi cristiani può essere di aiuto il riferimento a quanto per Gesù è iniziato il giovedì sera nel giardino degli ulivi per finire nel giardino dove c’era il sepolcro, il mattino di Pasqua. C’è bisogno oggi di uomini capaci di grandi passioni ‘religiose e umane’ nel vissuto quotidiano, che sappiano “guardare in alto”, come invita il profeta Osea: “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo” (Os 11,7). Siamo oggi piuttosto indotti o trascinati a pensare che la spinta all’autorealizzazione sia la molla e la misura di tutto. Tutto deve essere sacrificato alla realizzazione del proprio benessere: idee, cose e persone. Un benessere però che non ha i caratteri della universalità, ma della diversità e particolarità: il benessere mio, della mia famiglia, del mio gruppo, della mia categoria, della mia comunità, del mio partito, dei miei animali, ecc…. È stato scritto che la forma quasi totale della convivenza occidentale è ispirata dal racconto di Narciso, il bambino che è annegato nella contemplazione e nell’abbraccio della sua immagine riflessa in uno specchio d’acqua. Rinchiudendoci sempre più in noi stessi e in circoli sempre più ristretti ed esclusivi perdiamo una delle note tipiche della Chiesa cattolica: appunto la universalità (cattolicità). Il riferimento al Cristo, innalzato sulla Croce, dovrebbe aprirci ad essere più veri e più umani nell’abbraccio della compassione per l’altro. Dovrebbe spingerci a batterci per i legami che ci fanno umani – Dio e il prossimo –, e a smetterla di difendere gli adoratori della propria immagine, del proprio interesse, delle proprie diseguaglianze. La brama dell’avere molto, anzi troppo, di pochi rispetto alla stragrande maggioranza degli altri, porta a svuotare i pensieri e le speranze delle generazioni che vengono avanti, soffocando in loro di giorno in giorno anche la scintilla dell’anima, spegnendo in loro le migliori passioni della vita: la fede, la speranza, l’amore. Per il cristiano la Croce è il segno del dono gratuito di sé, del mettere a servizio i propri doni, la propria intelligenza e le proprie abilità all’amore e al bene di tutti. Sono queste le ‘buone premesse’ per un cristiano impegno nella Chiesa e in ogni ambito nella società e dell’umanità. Altrimenti è solamente cercare se stessi e subordinare tutto al proprio interesse, orgoglio, autorealizzazione. Ma al di fuori del proprio io non c’è proprio null’altro? (+ Adriano Tessarollo)
da NUOVA SCINTILLA 15 del 13 aprile 2014