COMMENTANDO…Pasqua, a pranzo con gli immigrati. Considerazioni

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COMMENTANDO…Pasqua, a pranzo con gli immigrati. Considerazioni

Guardare tante persone, uomini e donne giovani, in gran parte giovani, di varie lingue, culture, colori e nazionalità. Sedere insieme a tavola, darsi la mano, chiedere i nomi, la provenienza, cosa e chi si è lasciato, cosa si sta attendendo, cosa si sta facendo, cosa si sta sperando, attraverso quale esperienza si è giunti qui. Condividere insieme un semplice pasto di riso, pollo, patate fritte e insalata e un bicchiere di acqua o di aranciata. Ascoltare il loro canto che esprime la loro fede, canto fatto col sorriso, battendo le mani, ripetendo tante volte semplici espressioni della fede ricevuta e cantata. Alla fine salutarsi con qualche stretta di mano, rivolgendo qualche parola di invito alla pazienza di attendere, alla speranza di trovare qualche soluzione propizia, aggiungendo qualche parola di augurio per i propri familiari lontani, genitori, fratelli, mogli giovanissime e figli piccoli. Ecco l’esperienza del pranzo di Pasqua. E rientrando il pensiero rimane su quei volti incontrati, su quelle sofferenze ascoltate, su quelle speranze ipotizzate! Mi torna alla mente il brano manzoniano: “Addio, monti… Quanto è tristo il passo di chi cresciuto tra voi se ne allontana… tratto dalla speranza di fare altrove fortuna… si disabbelliscono in quel momento i sogni della ricchezza… e tornerebbe allora indietro se non pensasse che un giorno tornerà… ricco ai suoi monti”. Quanta forza ci vuole per stare ad attendere un anno per essere chiamati, interrogati e valutati se ci sono le condizioni per essere riconosciuti e autorizzati a cercare un possibile lavoro, di qualsiasi genere, in qualsiasi luogo, con qualsiasi paga, in una qualsiasi abitazione!

 

E nel frattempo non poter fare niente, sentirti giudicato e condannato perché non fai niente e sei mantenuto a spese di un popolo deluso e super tassato, che pure fatica a trovare dignitoso lavoro, che non vede orizzonti di luce aprirsi davanti e che teme invece che dietro quei poveri volti si nascondano temibili concorrenti, se non addirittura terribili nemici…, mentre quasi sempre si tratta di poveri già minacciati, sfruttati e oppressi. E se a qualcuno venisse la compassione e la voglia di tentare un aiuto, già sente bloccato sul nascere quel desiderio dalla serie infinita di pastoie burocratiche, di diritti esibiti, di doveri richiesti: non si può lavorare senza le ‘carte’, senza tutte le garanzie, le regolarizzazioni, i contratti siglati sindacalmente, le paghe secondo i livelli di retribuzione dovuti, gli alloggi assicurati, verificati, attestati, concessi, controllati, con tutte le norme italiane, europee, sindacali, fiscali. Alla fine uno conclude allargando le braccia: non ce la faccio proprio ad offrirti un lavoretto in attesa di meglio, perché rischio multe, sanzioni, ispezioni, verifiche, divieti e accuse di sfruttamento. Il pensiero si arresta, sconsolato, di fronte a domande senza risposta: cosa si può fare, cosa offrire oltre la carità del pasto, del vestito, di un posto letto? E fin quando può durare? E forse può nascere la tentazione: finché ci sono i compensi governativi o gli stanziamenti europei vi accogliamo e poi “qualche santo provvederà”!

+ Adriano Tessarollo