Appartenenza e corresponsabilità

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Domenica 22 settembre 2013. Aperto dal vescovo Adriano in cattedrale il nuovo anno pastorale. Il testo integrale

Appartenenza e corresponsabilità

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Folta partecipazione anche quest’anno, nel pomeriggio di domenica scorsa, all’assemblea diocesana per l’apertura del nuovo anno pastorale 2013-14 in cattedrale. Durante il solenne canto del vespro, subito dopo la lettura biblica di Mt 11, 25-30, il vescovo ha presentato più specificamente il cammino indicato alle comunità già l’anno scorso come seconda parte del piano triennale 2012-2015: l’appartenenza alla Chiesa locale e la corresponsabilità. Impegnati nell’unica missione della trasmissione della fede – ha sottolineato mons. Tessarollo – occorre camminare nella piena comunione tra vescovo, presbiteri e laici, che si esprime in modo eminente nella celebrazione eucaristica e si realizza concretamente attraverso un’autentica “corresponsabilità” in cui vengono valorizzati tutti i carismi e i ministeri: ciò tocca la qualità e la vitalità dell’intera nostra chiesa diocesana e delle singole comunità parrocchiali e diventa realtà se c’è disponibilità a “faticare per la propria comunità” in spirito di servizio e mai di dominio. Al termine, dopo la benedizione eucaristica, sono stati segnalati alcuni appuntamenti e sussidi, di cui si può trovare riscontro presso gli uffici pastorali in Seminario. Riportiamo il testo

integrale dell’intervento del vescovo.

 

 

L’INTERVENTO DEL VESCOVO ADRIANO

Un cordialissimo saluto e ringraziamento a voi qui convenuti per vivere nella preghiera e nella comunione l’accoglienza del nostro programma nel quale ci impegneremo nell’anno pastorale che stiamo per iniziare. Essere qui oggi vuol dire avere fatto questa scelta mettendola davanti ad altri impegni o interessi personali. Scegliere vuol dire anche ‘rinunciare’, vuol dire stabilire le priorità.

Nell’anno pastorale 2012-13 ci ha accompagnato un confronto-verifica sul tema della fede, stimolati anche dall’Anno della Fede, che concluderemo nella Festa di Cristo Re domenica 24 novembre. Quest’anno, riferendoci alla seconda parte del nostro Programma Pastorale triennale, lavoreremo sul tema:

Appartenenza alla Chiesa locale e corresponsabilità

come occasione di verifica e stimolo della qualità della appartenenza alla Chiesa verificata attraverso la comunione e corresponsabilità tra Laici, Presbiteri e Vescovo.

Premessa. Impegnati nell’unica missione

La missione di trasmettere e prendersi cura della fede è compito di tutti i battezzati e va svolto nella corresponsabilità ecclesiale di ciascuno, secondo il dono e ministero ricevuto.

Papa Benedetto nella lettera di indizione dell’Anno della Fede scriveva: “Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore, la propria fede a ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa. La stessa professione della fede è un atto personale e insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o, più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»” (Porta Fidei, 10). Fa dunque parte dell’essere cristiani la corresponsabilità per e nella Comunità cristiana. Vorrei spendere ora qualche parola sul fondamento della corresponsabilità nella Chiesa, perché tutti prendiamo coscienza che essa non è un ‘optional’ ma un elemento essenziale dell’appartenere alla Chiesa. Partiamo dall’area più vasta.

a. Corresponsabilità e comunione tra Vescovo-presbiteri-laici nella chiesa locale.

La corresponsabilità, nella Chiesa locale come nella Chiesa universale, nasce attorno al principio di unità non esteriore ma sacramentale, perché è attraverso i sacramenti che siamo ‘incorporati a Cristo’. Pensiamo al senso dell’immagine ‘incorporati in Cristo’ usata da san Paolo in 1Cor 12,12-28: “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra…. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra… Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri…”.

La vita liturgica nella diocesi e nella parrocchia è fondamento ed espressione più piena di tale comunione, come leggiamo nel capitolo IV della Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia.

“Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri” (n° 41). “Poiché nella sua Chiesa il vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero suo gregge, deve costituire necessariamente dei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente e poste sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra. Per questo motivo la vita liturgica della parrocchia e il suo legame con il vescovo devono essere coltivati nell’animo e nell’azione dei fedeli e del clero; e bisogna fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della messa domenicale”(n° 42).

L’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, di Giovanni Paolo II, al n° 23 del capitolo secondo intitolato “L’eucaristia edifica la chiesa”, scrive: “Con la comunione eucaristica la Chiesa è parimenti consolidata nella sua unità di corpo di Cristo. San Paolo si riferisce a questa efficacia unificante della partecipazione al banchetto eucaristico quando scrive ai Corinzi: « E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane » (1 Cor 10,16-17). Puntuale e profondo il commento di san Giovanni Crisostomo: « Che cos’è infatti il pane? È il corpo di Cristo. Cosa diventano quelli che lo ricevono? Corpo di Cristo; ma non molti corpi, bensì un solo corpo». L’argomentazione è stringente: la nostra unione con Cristo, che è dono e grazia per ciascuno, fa sì che in Lui siamo anche associati all’unità del suo corpo che è la Chiesa. L’Eucaristia rinsalda l’incorporazione a Cristo, stabilita nel Battesimo mediante il dono dello Spirito”.

La corresponsabilità scaturisce dalla comunione che è originata e significata dall’Eucaristia. Concludo con quanto scriveva anche Papa Benedetto nell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis al n° 15: “L’Eucaristia, dunque, è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa. Per questo l’antichità cristiana designava con le stesse parole Corpus Christi, il Corpo nato dalla Vergine Maria, il Corpo eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo. Questo dato ben presente nella tradizione ci aiuta ad accrescere in noi la consapevolezza dell’inseparabilità tra Cristo e la Chiesa. È significativo che la seconda preghiera eucaristica, invocando il Paraclito, formuli in questo modo la preghiera per l’unità della Chiesa: «per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo». Questo passaggio fa ben comprendere come la res (cioè la grazia, il dono, il frutto) del Sacramento eucaristico sia l’unità dei fedeli nella comunione ecclesiale. L’Eucaristia si mostra così alla radice della Chiesa come mistero di comunione.

La comunione e la corresponsabilità tra vescovo, presbiteri e laici sono il frutto e la manifestazione di ciò che l’Eucaristia produce in tutti noi che vi prendiamo parte.

b. Rapporto vescovo-presbiteri.

Carissimi confratelli nel sacerdozio, benché moltissimi siano in questa materia gli interventi magisteriali e più volte anch’io vi abbia parlato al riguardo, specie in occasione del giovedì santo o della giornata annuale della santificazione del clero, ritengo utile richiamare alcuni passaggi del numero 7 del Decreto conciliare sul “Ministero e Vita dei Presbiteri” dal titolo: Il vescovo e i presbiteri. “Tutti i presbiteri, in unione con i vescovi, partecipano del medesimo e unico sacerdozio e ministero di Cristo, in modo tale che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei presbiteri con l’ordine dei vescovi, manifestata ottimamente nel caso della concelebrazione liturgica; questa unione con i vescovi è affermata esplicitamente nella celebrazione eucaristica. I vescovi pertanto, grazie al dono dello Spirito Santo che è concesso ai presbiteri nella sacra ordinazione, hanno in essi dei necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e governare il popolo di Dio. … Per questa comune partecipazione nel medesimo sacerdozio e ministero, i vescovi considerino dunque i presbiteri come fratelli e amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale. È ai vescovi, infatti, che incombe in primo luogo la grave responsabilità della santità dei loro sacerdoti: essi devono pertanto prendersi cura con la massima serietà della formazione permanente del proprio presbiterio. Siano pronti ad ascoltarne il parere, anzi, siano loro stessi a consultarlo e a esaminare assieme i problemi riguardanti le necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi…. I presbiteri, dal canto loro, avendo presente la pienezza del sacramento dell’ordine di cui godono i vescovi, venerino in essi l’autorità di Cristo supremo pastore. Siano dunque uniti al loro vescovo con sincera carità e obbedienza. Quest’obbedienza sacerdotale, pervasa dallo spirito di collaborazione, si fonda sulla stessa partecipazione del ministero episcopale, conferita ai presbiteri attraverso il sacramento dell’ordine e la missione canonica. Nessun presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa”.

L’unità, la comunione e la corresponsabilità tra vescovo e presbiteri e tra i presbiteri non è problema personale, ma tocca la qualità e la vitalità dell’intera nostra chiesa diocesana e delle singole comunità parrocchiali. Nessuna comunità parrocchiale è fine a se stessa e vive isolata, ma deve accogliere e favorire l’opera dei suoi sacerdoti in unità con tutta la chiesa diocesana. Su quest’ambito abbiamo tutti molto da crescere, vescovo, presbiteri e laici. Se la nostra comunione e corresponsabilità non saranno solo formali, allora nascerà anche il desiderio della comunione e della corresponsabilità per tutta la Chiesa diocesana in tutti i suoi aspetti e per tutte le sue parrocchie. Comunione e corresponsabilità saranno incrementate valorizzando maggiormente le riunioni vicariali, sia dei presbiteri sia dei laici con una maggiore partecipazione anche del vescovo.

c. Rapporto pastori-laici.

Ogni presbitero partecipa dell’azione pastorale della chiesa, anche se opera in una comunità particolare sia come parroco o a qualsiasi altro titolo. L’essere pastore non è limitato al ministero di ‘parroco’. Oggi ci rendiamo conto, preti e laici, della necessità della corresponsabilità di tutti, pastori e laici, in tutti gli ambiti della vita parrocchiale: liturgica, catechistica, pastorale, economica ecc.. Bisogna che ci aiutiamo sinceramente a maturare in noi presbiteri l’attitudine a riconoscere le responsabilità laicali e in voi laici la disponibilità ad assumere responsabilità e ministeri nella Chiesa, diventando propositivi e attivi in ordine alle scelte pastorali. La presenza dei laici renderebbe il presbitero più disponibile a curare la vita spirituale della comunità, la qualità delle celebrazioni liturgiche, l’accompagnamento e la formazione dei catechisti, la conoscenza e vicinanza alla vita delle famiglie, la disponibilità per l’accompagnamento spirituale personale di quanti ne sentissero l’esigenza. Tutto ciò può germogliare dove c’è davvero spirito di comunione, di fede, di amore e di stima tra presbiteri e laici, disponibilità a faticare per la propria comunità, spirito di servizio e non di dominio.

Nella parte finale del n° 37 della Lumen Gentium leggiamo: “I pastori, da parte loro, riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margine di azione, anzi li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di propria iniziativa. Considerino attentamente e con paterno affetto in Cristo le iniziative, le richieste e i desideri proposti dai laici e, infine, rispettino e riconoscano quella giusta libertà, che a tutti compete nella città terrestre. Da questi familiari rapporti tra i laici e i pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa: in questo modo infatti si afferma nei laici il senso della propria responsabilità, ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all’opera dei pastori. E questi, aiutati dall’esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e opportunità sia in cose spirituali che temporali; e così tutta la Chiesa, forte di tutti i suoi membri, compie con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo”. Commentando quest’ultimo capoverso del numero 37 della Lumen Gentium, Papa BenedettoXVI in occasione del Forum Internazionale di Azione Cattolica, alla sesta Assemblea Ordinaria in Romania, svoltasi nell’agosto 2012,     così concludeva: “La corresponsabilità esige un cambiamento di mentalità riguardante, in particolare, il ruolo dei laici nella Chiesa, che vanno considerati non come «collaboratori» del clero, ma come persone realmente «corresponsabili» dell’essere e dell’agire della Chiesa. E’ importante, pertanto, che si consolidi un laicato maturo e impegnato, capace di dare il proprio specifico contributo alla missione ecclesiale, nel rispetto dei ministeri e dei compiti che ciascuno ha nella vita della Chiesa e sempre in cordiale comunione con i Vescovi.

d. Parola di Dio e icona di riferimento

Se l’anno scorso ho indicato il brano evangelico e l’icona dell’incontro di Gesù al pozzo con la Samaritana, quest’anno propongo il brano e l’icona di Gesù ‘Maestro mite e umile di cuore’. È attorno a Lui che si costruisce la Chiesa. Essere cristiani è accogliere l’invito a mettersi alla sua scuola, una ‘scuola’ che Gesù ha fatto vivere come luogo di relazioni, di condivisione di tempo e di cammino insieme, di ascolto e di dialogo, di annuncio e di insegnamento, di misericordia e di correzione, di incoraggiamento e di speranza, di amicizia e di dono, fino al dono totale di sé.

L’icona si ispira al vangelo di Matteo che ci accompagnerà durante il prossimo anno liturgico (ciclo A). Gesù è seduto in una cattedra tutta particolare che sono le falde di una montagna. Attorno a Lui sono riuniti ogni sorta di ascoltatori, che lo ascoltano attentamente, mentre egli indica con la mano destra e il dito alzati verso il Cielo l’origine e la meta di quella Parola che egli è venuto ad annunciare. Con Lui e dietro di Lui siamo invitati a scoprire il mistero del “Regno dei Cieli” (Mt 13), ad accoglierne gli insegnamenti (Mt 5-7), a diventarne missionari (Mt 10), a renderci segno visibile della sua presenza sulla terra (Mt 18) e a diventarne stabilmente partecipi (Mt 24-25) in Cielo. Gesù è stato in mezzo agli uomini passando per le loro strade, frequentando le loro case e le loro sinagoghe senza grandi e plateali iniziative, ma con l’attenzione e la vicinanza concreta alle persone nelle loro situazioni di vita (Mt 8-9). Sono questi mezzi deboli che sono a disposizione di tutti: papa Francesco dice “si possono usare mezzi deboli che risultano più efficaci di quelli forti” (Intervista). L’evangelista Matteo ha sintetizzato l’essere e lo stile di Gesù nel brano di 11,25-30:

“In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”.

Accogliamo quest’anno l’invito a metterci alla sua scuola (venite a me, prendete il mio giogo) verificando e costruendo la nostra appartenenza alla sua Comunità, la Chiesa, attorno a Lui, alla sua Parola, al dono di sé che riviviamo nell’Eucaristia, imitandone lo stile.

“Ti rendo lode, Padre”. La preghiera di lode di Gesù al Padre scaturisce non dal registrare i propri successi personali, ma dal riconoscere che la sua benevolenza si manifesta nel seguito di quei piccoli, pochi e poveri che incontra e che accolgono l’annuncio evangelico dell’amore del Padre. Gesù ci insegna, come ci ricorda anche papa Francesco (Intervista), “a sentire le cose di Dio a partire dal suo punto di vista”. Per questo la sua preghiera è di lode anche di fronte agli insuccessi.

“Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Essere miti e umili di cuore significa conformare il cuore umano al Cuore del Signore, significa davvero comportarsi nella vita come suoi veri discepoli, essere discepoli sinceri che lo seguono imitandone l’esempio. La sua Legge (giogo e peso) se vissuta per amore, diventa ‘dolce e leggera’, fonte di ‘riposo’ interiore e non di ansia. Alla scuola di Gesù Maestro operiamo tutti per consolidare e rinnovare la nostra appartenenza alla Chiesa con lo stile della comunione e offrendo e accogliendo la corresponsabilità di tutti. Auguro a tutti e a tutte le comunità “Buon Lavoro”, affidati alla grazia del Signore e accompagnati dalla ‘Vergine Maria’, prima discepola dalla Galilea a Gerusalemme, al seguito del suo Figlio.

+ Adriano Tessarollo

(foto Donaggio)

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 36 del 29 settembre 2013